REFERENDUM COSTITUZIONALE

La riforma rischia di portare con sé una sorta di nuovo autoritarismo e dare origine a nuove anomalie del sistema istituzionale.

Il quesito referendario sarà unico e del seguente tenore: « Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016? »

I media sono in questo momento concentrati sulla crucialità che dal punto politico avrà il voto avendo Renzi legato la permanenza dell’attuale governo all’esito della consultazione. Questa personalizzazione del referendum, dallo stesso poi rinnegata, ma poi ancora ribadita, ha, a mio avviso, distolto l’attenzione dai contenuti. Essenziale è giungere al voto consapevoli della rilevanza dello stesso sotto il profilo non politico bensì “sostanziale”; si tratta infatti di una riforma che muta profondamente l’assetto istituzionale della nostra Repubblica.

Vi invito a formarvi una opinione quanto più completa possibile. Onde facilitare l’esame della nuova riforma potete trovare sul sito non solo il testo di legge ma anche alcuni documenti utili, tra cui l’elenco di costituzionalisti di chiara fama contrari alla riforma.

Vi anticipo in questa breve nota alcune considerazioni.

A mio avviso il tentativo di superare il bicameralismo perfetto ha dato origine ad un sistema bicamerale confuso e poco efficiente, caratterizzato da un procedimento legislativo solo in apparenza più semplice, ma che in realtà consente ancora al Senato di formulare osservazioni comportanti un nuovo rinvio del disegno di legge alla Camera.

Ci sono certamente alcuni interventi positivi (tra i quali la previsione di un referendum propositivo oppure il vaglio preventivo della Corte Costituzionale sulle leggi elettorali) ma, tuttavia, non si tratta di elementi da soli sufficienti a giustificare un ‘sì’ alla riforma.

La riforma che verrà sottoposta al giudizio dei cittadini, lo ricordo, è un’iniziativa del Governo e non è il risultato raggiunto da un consenso fra le forze politiche, ma da una maggioranza. Ma la Costituzione non è una legge qualsiasi, non è espressione di un indirizzo di Governo e, ancor meno, il prevalere occasionale di alcune forze politiche su altre. Essa esprime le basi comuni della convivenza civile e politica e dunque la sua riforma, deve essere patrimonio comune il più possibile condiviso.

La riforma è pasticciata sotto molti aspetti.

Il superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto, pur necessario, nella riforma è stato perseguito nelle modalità sbagliate; si è configurato un Senato senza poteri effettivi nell’approvazione di molte delle leggi più rilevanti per l’assetto regionalistico e non rappresenterebbe affatto un valido strumento di concertazione fra Stato e Regioni. In esso non trovano rappresentanza le Regioni, ma espressioni locali inevitabilmente lottizzate secondo una spartizione politica e partitica. Sarebbe dunque inevitabile uno squilibrio numerico delle componenti del Parlamento, chiamato, lo ricordo, ad eleggere il Presidente della Repubblica e una parte dell’organo di governo della magistratura. La conseguenza sarebbe una fortissima influenza del Governo attraverso il controllo della propria maggioranza.

Con la riforma aumenterebbero i rischi di incertezze e conflitti, conseguente ad una molteplicità di procedimenti legislativi differenziati a seconda delle diverse opzioni di intervento del Senato (leggi bicamerali, monocamerali con emendamenti da parte del Senato, con possibilità che tali emendamenti possano essere respinti dalla Camera a maggioranza semplice o assoluta).

Con la riforma alle Regioni verrebbe tolta di fatto la competenza legislativa (mentre viene lasciato intatto l’ordinamento delle Regioni speciali).

Renzi afferma che con la riforma si metterebbe fine al contenzioso fra Stato e Regioni, ma ciò non è affatto vero perché le origini di tale contenzioso si trovano nella mancanza di una coerente legislazione statale di attuazione e non nei criteri di assegnazione per materia delle competenze (che non potranno mai realmente essere distinte con un taglio netto). Non v’è dubbio che la riforma del 2001 ha causato confusione e difficoltà di applicazione, ma vanno corretti gli errori promuovendone una migliore attuazione, anziché, come prevede la riforma, rovesciarne l’impostazione, con obiettivi opposti a quelli allora perseguiti di rafforzamento del sistema delle autonomie. I fautori del ‘sì’ continuano ad affermare che con la riforma si ridurrebbero i costi delle istituzioni. Ma sui costi si interviene con la legislazione ordinaria e il buon funzionamento delle istituzioni riguarda prima di tutto l’equilibrio fra organi diversi e il potenziamento delle rappresentanze elettive.

Non viene affrontata seriamente la razionalizzazione delle dimensioni territoriali degli enti, non si prevedono sedi garantite per il confronto fra istituzioni politiche e rappresentanze sociali: questa è pura demagogia, populismo irresponsabile, teso a sfiduciare ulteriormente la politica come luogo di partecipazione democratica dei cittadini.

Concludendo, i pochi aspetti positivi previsti dalla riforma non sono tali da compensare gli aspetti fortemente negativi e destabilizzanti. Ma, soprattutto, l’aver indetto il referendum su un unico quesito, costringerà i cittadini ad esprimere parere su un testo disomogeneo, su cui, inevitabilmente prevarranno ragioni politiche che nulla hanno a che fare con la legge.  

 PER QUESTE RAGIONI, AL QUESITO REFERENDARIO LA MIA PERSONALE POSIZIONE E QUELLA DEL MOVIMENTO PER SARÀ:

“NO”